giovedì 30 aprile 2015

Perdersi

Quando vivevo a Düsseldorf, la mia attività preferita era il perdermi nella città. Non quel perdersi romantico nel senso di girovagare senza meta e ritrovarsi in luoghi sconosciuti, ma quel perdersi dettato dall'avere un senso dell'orientamento di merda.
Eppure a Düsseldorf è quasi impossibile perdersi. Ci sono così tante fermate del tram e a quasi ogni angolo della città che se ti perdi sei scemo.
Osservare la città dai finestrini del tram è interessante. Le persone non ti fissano né ti rivolgono la parola. E' bello prendere il tram in Germania.
Quella volta che mi persi nel quartiere giapponese fu perché non sapevo che ci fossero fermate del tram ogni dieci passi o non capivo quali fossero le fermate del tram.
Ci ho messo quattro mesi per trovare il coraggio di provare a parlare tedesco senza cedere alla tentazione dell'inglese. Il tedesco è troppo difficile ma ha un suono davvero melodioso. Sembra quasi il canto di una sirena.
Il quartiere giapponese è ricco. I ristoranti sono costosi, i bar eleganti, gli hotel a cinque stelle. Le strade sono ordinate, pulite ed essenziali. Le piante e gli alberelli sui marciapiedi sono graziosi. Non ci sono tedeschi per strada. O meglio, i tedeschi hanno gli occhi a mandorla.
Il quartiere giapponese è il mio preferito. Erik mi ci portò la prima volta quando non ero in città da nemmeno 24 ore. Insistette tanto per mostrarmelo perché era lì che aveva incontrato quella che sarebbe poi diventata sua moglie nonché madre dei suoi figli. Gli occhi di Erik brillavano troppo mentre parlava della moglie. I miei occhi avrebbero mai brillato in quel modo?
Il quartiere giapponese si trova proprio dietro la stazione centrale di Düsseldorf. Come ho fatto allora a perdermi? Erik e la moglie risero quando glielo raccontai. Loro due ridono sempre. Sono talmente felici ed innamorati da sembrare finti. Si sono visti la prima volta in un ristorante giapponese. Si sono conosciuti su un sito d'incontri. Adesso hanno due figli biondissimi, una casa con giardino, una macchina, una figlioccia tinta di un biondo finto. Erik ama così tanto sua moglie da sembrare un adolescente.
Quella volta al quartiere giapponese ci andammo a piedi. Forse per questo non so dove fermano i tram. Non guardai la strada, mi fidai di lui mentre ascoltavo della sua perfetta storia d'amore. Lo invidiavo tantissimo. Pensavo a G., alle sue camicie di merda, ai capelli ricci e ai nostri baci mentre stavamo appoggiati alla ringhiera del lungomare. Pensavo a Luca, al mio collo martoriato dai suoi succhiotti, a quel film che non finimmo di vedere perché nel suo letto faceva troppo caldo. Pensavo che io dell'amore non ci avrei mai capito nulla.
Erik era un alieno. Gli affitti nel quartiere giapponese dovevano essere altissimi. Erik mi disse che Düsseldorf era un posto costoso dove vivere e che era il sogno suo e della moglie comprare casa lì. Non riuscivano a trovare un appartamento ad un prezzo ragionevole. Chissà se in vita mia avrò mai un appartamento o qualcuno vicino con cui sognare una vita ideale.
Quando mi persi a Düsseldorf non ebbi paura. Per fortuna la maggior parte dei tedeschi sa parlare inglese. In Germania -e forse nel resto del mondo- si stupiscono quando incontrano un italiano che conosce l'inglese. Chissà quante volte mi è stato detto che sono un'italiana atipica solo per questo. Ma com'è allora un italiano tipico? Tra l'altro il mio inglese non è sto granché.
I tedeschi conoscono l'inglese ma odiano parlarlo; se ti sforzi di parlare tedesco allora loro sono contenti e fieri.
Per quattro mesi ho avuto paura di parlare in tedesco, per quattro mesi ho avuto paura di fare amicizia. In Germania non hai bisogno di parlare tedesco. E nemmeno di avere amici. In Germania un modo per riempire le giornate lo si trova sempre, anche se vuoi stare da solo, anche se vuoi stare in silenzio. In Germania le persone ti ascoltano sempre e ti guardano negli occhi. Non ti sorridono spesso, però. I tedeschi non hanno senso dell'umorismo. Non capiscono le battute e se succede, le capiscono a scoppio ritardato.
Non ho mai visto un tedesco ridere a crepapelle, da sobrio. Tranne quando raccontai ad Erik e alla moglie che mi ero persa.







3-4-2015

martedì 28 aprile 2015

Mancanze

Tieni il piede sulla frizione, metti in moto, dai un po' di gas, metti la marcia, togli il freno a mano, metti la freccia, alza pian piano il piede dalla frizione, tieni bene il volante...
Ci sono cose che non capisco, e quando finalmente riesco a capirle, non riesco a farle. La macchina si spegne appena inizio a togliere il piede dalla frizione. Giro la chiave. Manca qualcosa. Mancano cose da fare, mancano cose alla mia vita che non so se si devono fare, mancano cose che non so se si possono fare, mancano cose che voglio fare. Metto di nuovo in moto e di nuovo l'auto si spegne. Eppure tengo la frizione ancora premuta.
Manca qualcuno. Mancano persone che voglio vedere, persone che non voglio vedere, persone di cui ho bisogno, persone che devo ancora incontrare. Mancanze improvvise.
Manca un equilibrio che non ho mai avuto, una sicurezza che è sempre stata utopica, manca del tempo anche se il tempo è troppo.
Metto in moto, il piede ben saldo sulla frizione, marcia innestata, tolgo il freno a mano, rimetto la freccia. Pian piano premo sempre meno sulla frizione e accelero un pochino. L'auto parte. Tengo per bene il volante. Mancanza di esperienza alla guida, mancanza di coraggio.
Vado dritta, vado piano, a 20 km orari in una strada dissestata dove tutti corrono troppo.
Guardo lo specchietto retrovisore, guardo avanti a me : le auto che sono dietro di me suonano il clacson e mi sorpassano. Tolgo il piede dalla frizione, inclino leggermente il volante verso sinistra. non voglio finire sul marciapiede come mio solito. La macchina va, sono emozionata. Premo leggermente l'acceleratore, 30 km orari eppure mi sembra di volare, ho il terrore.
Cambio la marcia.
Mancanze. Mi manca il sangue freddo, la voglia d'imparare, la voglia di rischiare.
Freno. Ogni volta che non mi sento sicura lo faccio. Le altre macchine mi superano velocemente.
Mancanza di certezze, di stimoli, di passatempi. Mancanze trovate su questa strada extraurbana così rotta e triste. Mancanze come fantasmi. Mancanze concrete, mancanze astratte. Manca il freddo quando fa tanto caldo, manca l'estate quando è inverno.
Metto di nuovo in moto. Non c'è nessuno in arrivo dietro di me. Tento di girare nella direzione opposta.
Manca la sicurezza. Mancanze fisiche. Mancanza di spazio.
Non arriva nessuno, nemmeno dal senso opposto.
Mancanza di direzione.
Giro il volante come se ci giocassi. La manovra riesce con successo. D'altronde non avevo altra scelta. La fortuna del principiante. I motori per me sono come le persone: difficili ed incomprensibili.
Mancanza di empatia?
La strada è ancora sgombra. Guidare mi fa paura perché non mi fido di me stessa né delle altre persone. E' come affidare la propria vita ad un ammasso di metallo e vetro. E alla follia della gente.
Mancanza di fiducia. Mancanze.
Fa caldo. Ecco delle macchine che sopraggiungono. Dietro però non c'è nessuno. Vado piano. Ho tempo, ma non troppo. 30 km all'ora, 20 km all'ora. Corro. Il tempo corre.
C'è il sole. Presto arriverà l'estate. Il solo pensiero mi fa impazzire.
Manca il freddo. Manca nascondermi sotto strati e strati di vestiti, manca scomparire.
Ci sono cose che non capisco. Cose che non percepisco.
Le mani sono salde al volante, gli occhi si muovono tra la strada e lo specchietto, ho i pensieri altrove, come sempre. Che fare? Fare finta di niente? Mi sono stufata di far finta di niente.
Poi a che serve?
Guardo la strada, guardo lo specchietto sopra la mia testa; ancora nessuno dietro. Penso che nei film guidare sembra così facile. A loro basta girare il volante senza un senso, come in un gioco.
Penso a tutt'altro per non pensare alle persone. Penso che non mi concentro abbastanza nella guida. Sono pericolosa.
Penso alle promesse mai rispettate, alle ore passate in macchine altrui, alle canzoni cantate ad alta voce, ai pettegolezzi, ai baci, alle risate. Penso che le persone non sanno essere sincere.
Cambio la marcia. Sto correndo troppo? Non capisco.
Mancanze. Mancanza di affetto.
Penso che dovrei smetterla di elemosinare i sentimenti e le attenzioni delle persone. Penso, penso, penso.
Accosto e spengo la macchina.
Penso che non so guidare.



23-04-2015

sabato 25 aprile 2015

Situazioni

Urlai, non so se di piacere, di disperazione o rassegnazione. Lui mi baciò forte per coprire le grida. Poi si staccò e si distese accanto a me, respirando profondamente. Teneva la sua mano sinistra sulla mia gamba destra e me l'accarezzava piano.
Girò la testa verso di me, mi sorrise. «Bel film, vero?» io annuii, spaesata.
Pensai che il suo viso era molto dolce in quel momento, ma non era quello che volevo. Era come se G. si trovasse seduto ai piedi del letto e ci stesse guardando. Qualunque fosse stato il suo sguardo, non importava. Era quello che volevo.
In quel momento avrei potuto gridare il suo nome, anche se era fuori luogo. D'altronde sono una persona perennemente fuori luogo. Avrei potuto farlo, ma le mie urla non erano dedicate a lui, e non erano provocate da lui, anche se avrei voluto, anche se ci pensavo. Le mie urla erano senza valore, senza piacere, senza amore. Quanto odiavo Luca, quanto odiavo le sue mani, quanto odiavo G. che non era lì, che non ci sarebbe mai stato. Quanto mi mancava G.
G. mi ha fatto sentire come la sua Vergine Maria personale, Luca invece come la più sporca e stupida delle puttane. Eppure perché allora era Luca quello che mi cercava? Forse non avevo capito nulla o il destino stava facendo un altro dei suoi stupidi giochetti?
Perché ci prendevamo in giro in quel modo?

giovedì 23 aprile 2015

Punti di vista

Tu sei un 'attore', io una 'scrittrice'.
Chi ha mentito? Chi sta mentendo ora?

martedì 21 aprile 2015

Sbagliare

Mi  ripromettevo ogni volta che non sarebbe accaduto di nuovo. E puntualmente cedevo. Luca era fuoco vivo fra le mie braccia. Ma non bruciava, semplicemente ero io a bruciare con lui. Non riuscivamo a non toccarci quando ci trovavamo nello stesso spazio fisico. Eravamo come magneti. Era ancora con me, sempre stretto a me, con le sue mani a cingermi i fianchi e le labbra fuse alle mie. Sembrava che quello fosse il suo posto.
Eppure quella vita mi faceva  schifo. Era squallida, monotona, inconcludente. Era tutto quello che non volevo, eppure sembrava fosse quello che mi meritassi.
Sono sempre stata bravissima a fuggire e credevo di aver trovato la via d'uscita definitiva. Invece i problemi mi rincorrevano veloci, sempre più veloci, sempre più arrabbiati e vendicativi. Come Luca quella sera, deciso a farmela pagare per essere andata via, per averlo lasciato in balia della sua stupidità, o di qualsiasi altra cosa. 
Il copione non cambiava mai: mentre ero lì, come una bambola nelle sue mani, combattevo con la voglia di farlo mio e con il pensiero di G.
G. era riapparso poco tempo prima, come suo solito improvvisamente. L'avevo cercato per giorni e giorni dopo essere tornata, ma sembrava nascosto chissà dove.
Poi eccolo: magrissimo, con i capelli più ricci e lunghi, la barba appena accennata, gli occhi sembravano quasi nascosti. Niente più pantaloni attillati, scarpe eleganti, brutte camicie. Sembrava un normalissimo ragazzo di diciannove anni. Tutto ciò che amavo di lui non lo vedevo più. Eppure era la stessa persona. 
Il mio cuore smise di battere nel momento stesso della sua apparizione. Riusciva a fermare il mio mondo e scombussolarlo totalmente.
Tutto ciò che avevo immaginato in quei lunghi mesi era ormai distrutto, proprio come il mio cuore, che giorno dopo giorno si riduceva in pezzi sempre più piccoli. Avvertivo la pesantezza e il rumore di quei cocci. La sentivo soprattutto il momento che Luca mi prese in braccio, tenendo le mani ben ancorate al mio sedere, e cominciò a camminare sulla spiaggia morbida, facendo attenzione a non inciampare. Eppure io volevo cadere, cadere giù e sprofondare nella sabbia. Sempre più giù, come se fosse possibile, come se me lo meritassi. Volevo staccarmi da quell'abbraccio demoniaco perché non era di quello che avevo bisogno, non era quello che volevo. Cosa volevo? Di cosa avevo bisogno?



domenica 19 aprile 2015

Pezzetti

Camminavo per le strade di Essen, con le mani nelle tasche del giubbottone, il cappuccio calato in testa per proteggermi dalla pioggia e dal freddo, sentivo scorrere il mio tempo in Germania e già stavo male. Mi sarebbe mancato tutto di quel posto che si era preso una parte di me che non sarebbe più tornata e mi aveva dato qualcosa che mi aveva reso diversa: non ero più la provincialotta di prima, quella che ci teneva al parere degli altri, che voleva fare le cose in compagnia, che non aveva la forza per affrontare la vita. Ero diventata fredda, calcolatrice, indipendente però al tempo stesso più gentile e rispettosa, proprio come una tedesca. Non avrei più permesso a nessuno di prendermi per il culo, nè tantomeno avevo intenzione di farlo io . Ero soddisfatta di questo aspetto, ma lo ero un po' meno della vulnerabilità che mi affliggeva in quel momento. Mi sarebbe mancato tutto: la pioggia fastidiosa, il freddo penetrante, le Hauptbahnof puzzolenti, la gente indifferente, il mercato dei fiori, il caffè annacquato, le lezioni di tedesco dove eravamo tutti stranieri, il karaoke e gli schnapps gratis, i cavoli con le patate, le mille varietà di Brot e Brötchen a colazione, lo shopping a pochi euro, il Deutschrock, la birra, le piste ciclabili, i treni puntuali, gli spiccioli nella borsa, le persone che piuttosto che sedersi accanto a te in metro restano in piedi. E ancora le Traubenzucker delle farmacie, il senso dell'umorismo inesistente, il dover sempre programmare le cose, le commesse simpatiche, i controllori nei treni, il cibo super speziato, la cena alle 18, il buio alle 16, spalare la neve, l'orologio alla mano, i Kiosk sempre aperti, il Glühwein a Natale, il rispetto reciproco. Mi veniva da piangere mentre pensavo a tutto questo, alla vita non perfetta ma serena che facevo, all'amore che avevo cominciato a provare per quel paese che era riuscito a sciogliermi il cuore nonostante la sua precisione, nonostante la rigidità, nonostante fossi sola. Amavo Düsseldorf, la mia città d'adozione, con i suoi grattacieli, il vento gelido quando passeggi accanto al Reno, con i luccichii sulla Königsallee e il panorama mozzafiato della Rheinturm. Amavo lo Skytrain dell'aeroporto, il casino della stazione centrale, i musei noiosi, i locali, i ponti, il quartiere giapponese, la mini pizza, l'Altstadt. Düsseldorf rimarrà sempre impressa dentro me. Mi aveva accolta come una figlia e fin dall'inizio mi ha dato il meglio di sè, non mi ha chiesto nulla in cambio ed è sempre stata sincera e generosa. Mi ha sorriso ogni giorno anche quando non ne avevo voglia, anche quando volevo stare sola, con la pioggia e con il sole, con il vento e con la neve, col freddo pungente o il caldo: lei non è mai cambiata ed è sempre bellissima. Lei è sempre stata l'unica certezza di questo viaggio, la perla nascosta della Renania, un posto che fino ad un anno fa era a me sconosciuto. Ora non potrei immaginare la Germania senza di essa, e purtroppo sono costretta ad andare via. Düsseldorf brilla di luce propria, di un fascino quasi aristocratico ed elegante, pur mantenendo la semplicità grezza e artificiale delle metropoli tedesche. Lei c'è sempre stata, è stato l'unico appiglio e l'unica forma di affetto in questa terra terribilmente ricca ma fin troppo inospitale. Quel posto mi aveva conquistata pian piano e nonostante sentivo che prima o poi la mia vera casa sarebbe stata altrove, Düsseldorf avrebbe avuto sempre un qualcosa in più che mi avrebbe fatto sentire nostalgia. Avevo un groppo in gola nel pensare che non avrei più rivisto il paesaggio correre attraverso il finestrino del treno e il sole tramontare specchiandosi sul fiume. Mi sarebbe mancato anche attraversare il cimitero la mattina presto e il boschetto a notte fonda, con la paura costante che qualcuno mi avrebbe ucciso da un momento all'altro. Mi sarebbe mancato svegliarmi alle due del mattino dalle urla dei bambini, i pomeriggi chiusa con loro nella Kinderzimmer a giocare con i LEGO, cambiare i pannolini, le storie della buona notte, gli abbracci improvvisi, le urla senza motivo, il loro rifiutarmi quando facevo qualcosa che non gli andava bene, il vederli mangiare con gusto quello che avevo cucinato per loro, le macchinine sempre in disordine, stare con loro alla finestra mentre cade la neve, il ballare insieme, gli orribili CD per bimbi messi a ripetizione continua, le ciliegie sciroppate nello yogurt, quando curiosi tiravano i miei piercing con le manine, vederli scartare ansiosi i regali, accarezzarmi timidamente la testa, cullarli e vederli teneramente addormentarsi fra le mie braccia, quando tornavo a casa e loro urlavano il mio nome e mi correvano incontro. Era diventata la mia nuova vita, la mia nuova routine, i miei nuovi affetti. Ricominciare qualcosa altrove in quel momento mi sembrava assurdo. 'Sono cambiamenti solo se spaventano'. Io avevo già affrontato una cosa del genere e chissà quante altre volte ancora l'avrei fatto nel corso della mia vita. Avevo paura che a forza di lasciare pezzetti in giro, un giorno un cuore non l'avrei più avuto.
Intanto aveva smesso di piovere, comico come cambi così in fretta il tempo qui. Dovevo correre in stazione e prendere l'ennesimo treno, con un nuovo vuoto dentro e un nodo allo stomaco. Cacciando indietro le lacrime, mi chiedevo cosa mi aspettava, cosa avrei fatto dopo e cosa mi avrebbe salvato stavolta.


03-01-2015

English

L’ingegnere spagnolo che non sa l’inglese vuole una bambinaia poliglotta. La moglie lo corregge ogni due e tre. Entrambi sorridono. I bambini sono adorabili, dicono. Perché tutti i bambini sono adorabili per i genitori? Perché non c’è qualcuno che dice: ‘’I miei figli sono terribili ed io vorrei solo prendermi una vacanza che duri il più lungo possibile’’ ? 
Esiste l’istinto paterno?
I bambini sono adorabili, vorremmo che però tu non li sgridassi anche se -ovviamente- non ce n’è bisogno. La moglie dell’ingegnere è ingegnere ella stessa. Il suo inglese è molto buono ma ha un’orribile cadenza.  ‘’Qui fa molto caldo’’ dice. Questa primavera è già estate.  Le strade sono vuote, o meglio, sono piene di persone vuote. Questi caldi pomeriggi conciliano il sonno. E’ bello dormire con le imposte semi abbassate e il sole pomeridiano che filtra attraverso esse. Noi a casa le imposte le teniamo o completamente abbassate, oppure no. Come per dire: non ci piacciono le vie di mezzo. A me piacciono, invece.
Con questo caldo non capisco il desiderio di mangiare cioccolata. A volte non so nemmeno se riesco a percepire la fame. Con questo caldo la cioccolata si scioglie.
Penso che ultimamente sto uscendo solo con aspiranti ingegneri. Non so perché, ma sono persone con cui riesco ad andare d’accordo facilmente. La coppia d’ingegneri sembra simpatica, ma non capisco se stanno sorridendo a comando o meno. La loro casa è illuminata dalla luce del sole e indossano vestiti estivi. Mi è venuta voglia di mangiare cibo spagnolo. 
Non è necessario che la bambinaia sappia cucinare. L’importante è che conosca l’inglese. E ovviamente deve amare i loro adorabili bambini. 
Il loro accento è così marcato, chissà se anche il mio lo è.
Gli ingegneri sono persone simpatiche. Degli ingegneri non capisco nulla, so solo che fanno i soldi. Le persone molto intelligenti sanno come si fanno i soldi, per questo vado d’accordo con  gli ingegneri? Perché sono intelligenti? O perché mi piacciono i soldi?
Quando c’è il sole tutto sembra bello, o almeno vagamente decente.
A quanto pare il mio inglese è abbastanza buono, potrei andare bene nel ruolo di bambinaia. Però non saprei che genere di giudizio potrebbe darmi un ingegnere con un pessimo inglese. Almeno la moglie lo sa parlare, e i loro figli adorabili lo capiscono e lo parlano bene. 
Mai smettere di sorridere se vuoi fare la bambinaia. 
Impara bene l’inglese, ma soprattutto parlalo da sola davanti allo specchio.



01-04-2015

sabato 18 aprile 2015

Incontri

Verrai a rivendicare la tua presenza ogni volta che l'avrò scacciata via, quando crederò che sei tu ad essertene andato e che io non sono mai tornata.
Tornerai nei posti più strani, nei momenti più banali, nelle giornate più brutte.
Tornerai, e mi farai sempre lo stesso effetto: quello di mille spilli puntati in un cuore che pulsa più che mai e sanguina coriandoli di delusione. Mi farai piangere lacrime silenziose e asciutte, incrociando il fuoco dei tuoi occhi e il ghiaccio dei tuoi modi. Mi spoglierai di ogni buon senso e ogni volontà di cambiamento. Me lo ricorderai sempre che non c'è bisogno che io venga a cercarti, perché tu saprai sempre come trovarmi e come distruggermi.


06-03-2015