domenica 19 aprile 2015

Pezzetti

Camminavo per le strade di Essen, con le mani nelle tasche del giubbottone, il cappuccio calato in testa per proteggermi dalla pioggia e dal freddo, sentivo scorrere il mio tempo in Germania e già stavo male. Mi sarebbe mancato tutto di quel posto che si era preso una parte di me che non sarebbe più tornata e mi aveva dato qualcosa che mi aveva reso diversa: non ero più la provincialotta di prima, quella che ci teneva al parere degli altri, che voleva fare le cose in compagnia, che non aveva la forza per affrontare la vita. Ero diventata fredda, calcolatrice, indipendente però al tempo stesso più gentile e rispettosa, proprio come una tedesca. Non avrei più permesso a nessuno di prendermi per il culo, nè tantomeno avevo intenzione di farlo io . Ero soddisfatta di questo aspetto, ma lo ero un po' meno della vulnerabilità che mi affliggeva in quel momento. Mi sarebbe mancato tutto: la pioggia fastidiosa, il freddo penetrante, le Hauptbahnof puzzolenti, la gente indifferente, il mercato dei fiori, il caffè annacquato, le lezioni di tedesco dove eravamo tutti stranieri, il karaoke e gli schnapps gratis, i cavoli con le patate, le mille varietà di Brot e Brötchen a colazione, lo shopping a pochi euro, il Deutschrock, la birra, le piste ciclabili, i treni puntuali, gli spiccioli nella borsa, le persone che piuttosto che sedersi accanto a te in metro restano in piedi. E ancora le Traubenzucker delle farmacie, il senso dell'umorismo inesistente, il dover sempre programmare le cose, le commesse simpatiche, i controllori nei treni, il cibo super speziato, la cena alle 18, il buio alle 16, spalare la neve, l'orologio alla mano, i Kiosk sempre aperti, il Glühwein a Natale, il rispetto reciproco. Mi veniva da piangere mentre pensavo a tutto questo, alla vita non perfetta ma serena che facevo, all'amore che avevo cominciato a provare per quel paese che era riuscito a sciogliermi il cuore nonostante la sua precisione, nonostante la rigidità, nonostante fossi sola. Amavo Düsseldorf, la mia città d'adozione, con i suoi grattacieli, il vento gelido quando passeggi accanto al Reno, con i luccichii sulla Königsallee e il panorama mozzafiato della Rheinturm. Amavo lo Skytrain dell'aeroporto, il casino della stazione centrale, i musei noiosi, i locali, i ponti, il quartiere giapponese, la mini pizza, l'Altstadt. Düsseldorf rimarrà sempre impressa dentro me. Mi aveva accolta come una figlia e fin dall'inizio mi ha dato il meglio di sè, non mi ha chiesto nulla in cambio ed è sempre stata sincera e generosa. Mi ha sorriso ogni giorno anche quando non ne avevo voglia, anche quando volevo stare sola, con la pioggia e con il sole, con il vento e con la neve, col freddo pungente o il caldo: lei non è mai cambiata ed è sempre bellissima. Lei è sempre stata l'unica certezza di questo viaggio, la perla nascosta della Renania, un posto che fino ad un anno fa era a me sconosciuto. Ora non potrei immaginare la Germania senza di essa, e purtroppo sono costretta ad andare via. Düsseldorf brilla di luce propria, di un fascino quasi aristocratico ed elegante, pur mantenendo la semplicità grezza e artificiale delle metropoli tedesche. Lei c'è sempre stata, è stato l'unico appiglio e l'unica forma di affetto in questa terra terribilmente ricca ma fin troppo inospitale. Quel posto mi aveva conquistata pian piano e nonostante sentivo che prima o poi la mia vera casa sarebbe stata altrove, Düsseldorf avrebbe avuto sempre un qualcosa in più che mi avrebbe fatto sentire nostalgia. Avevo un groppo in gola nel pensare che non avrei più rivisto il paesaggio correre attraverso il finestrino del treno e il sole tramontare specchiandosi sul fiume. Mi sarebbe mancato anche attraversare il cimitero la mattina presto e il boschetto a notte fonda, con la paura costante che qualcuno mi avrebbe ucciso da un momento all'altro. Mi sarebbe mancato svegliarmi alle due del mattino dalle urla dei bambini, i pomeriggi chiusa con loro nella Kinderzimmer a giocare con i LEGO, cambiare i pannolini, le storie della buona notte, gli abbracci improvvisi, le urla senza motivo, il loro rifiutarmi quando facevo qualcosa che non gli andava bene, il vederli mangiare con gusto quello che avevo cucinato per loro, le macchinine sempre in disordine, stare con loro alla finestra mentre cade la neve, il ballare insieme, gli orribili CD per bimbi messi a ripetizione continua, le ciliegie sciroppate nello yogurt, quando curiosi tiravano i miei piercing con le manine, vederli scartare ansiosi i regali, accarezzarmi timidamente la testa, cullarli e vederli teneramente addormentarsi fra le mie braccia, quando tornavo a casa e loro urlavano il mio nome e mi correvano incontro. Era diventata la mia nuova vita, la mia nuova routine, i miei nuovi affetti. Ricominciare qualcosa altrove in quel momento mi sembrava assurdo. 'Sono cambiamenti solo se spaventano'. Io avevo già affrontato una cosa del genere e chissà quante altre volte ancora l'avrei fatto nel corso della mia vita. Avevo paura che a forza di lasciare pezzetti in giro, un giorno un cuore non l'avrei più avuto.
Intanto aveva smesso di piovere, comico come cambi così in fretta il tempo qui. Dovevo correre in stazione e prendere l'ennesimo treno, con un nuovo vuoto dentro e un nodo allo stomaco. Cacciando indietro le lacrime, mi chiedevo cosa mi aspettava, cosa avrei fatto dopo e cosa mi avrebbe salvato stavolta.


03-01-2015

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